mercoledì 12 novembre 2008

Vendola costringe l'Ilva a tagliare le emissioni


L’Ilva riduca le emissioni o chiuderà i propri stabilimenti. E’ pronta la bozza della legge regionale pugliese per la riduzione delle emissioni industriali di diossina e altre sostanze inquinanti, e oggi il presidente Vendola la porterà in giunta per l’approvazione: secondo la nuova legge, lo stabilimento siderurgico, che impiega circa 15 mila dipendenti, dovrà ridurre le emissioni di diossina [policlorodibenzodiossina] e furani [policlorodibenzofurani] fino ad un massimo di 2,5 nanogrammi a partire dal primo aprile del 2009. Un limite che dal 31 dicembre 2010 dovrà scendere ulteriormente fino a 0,4 nanogrammi. In caso di violazioni, il proprietario dello stabilimento Emilio Riva avrà sessanta giorni di tempo per rientrare nei limiti previsti, pena la chiusura degli impianti.
Il tetto di 0,4 nanogrammi è il massimo consentito dal cosiddetto protocollo di Arhus, approvato dall’Ue a febbraio 2004, recepito in Italia con la legge 125 del 2006 ma di fatto disatteso. «Abbiamo lavorato – ha detto Vendola a Liberazione, che dedica alla nuova legge un’ampia anticipazione oggi- sulla base dell’esperienza friulana che ha sanato la situazione di uno stabilimento di gran lunga più piccolo del gigante Ilva», lo stabilimento siderurgico Servola [ora gruppo Lucchini] a Trieste.
«Siamo di fronte – prosegue Vendola – a un salto di qualità politico e culturale. Per la prima volta una regione italiana compie l’azzardo di dotarsi di una legge che ignora i limiti massimi di emissioni tossiche consentite in Italia. Siamo consapevoli del rischio di scontrarci con il solito ‘apparente buon senso’ che sconsiglia interventi di tipo ambientalista in crisi economica. Ma è ora che lavoro è ambiente diventino un unico paradigma».
L’Ilva di Emilio Riva è al centro delle polemiche più del solito, in queste ultime settimane.
Due mesi fa il ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo aveva rimosso i tecnici che avrebbero dovuto esprimersi sulla concessione o meno dell’Autorizzazione integrata ambientale [Aia], secondo alcuni per fare un favore a Riva, che partecipa alla cordata della Cai. Li aveva sostituiti con tecnici «di sua fiducia» [ma uno di loro era talmente impresentabile che la stessa Prestigiacomo ha dovuto tornare sui passi, per cacciarlo poco dopo averlo nominato: si trattava del’ingegner Bonaventura Lamacchia, condannato per falso, ricettazione, evasione fiscale, bancarotta fraudolenta, tentata estorsione e turbativa d´asta].
La legge proposta oggi da Vendola «aggira» in qualche modo l’ostacolo, perché impone all’Ilva, così come a tutte le altre aziende che producono in Puglia, la riduzione delle emissioni inquinanti.
I valori indicati dalla legge sono gli stessi che la stessa Ilva ha dimostrato sperimentalmente di poter raggiungere, ma ai tecnici del ministero quella soglia era stata indicata come possibile solo dopo un anno: «Una posizione inspiegabile» avevano fatto sapere i tecnici della Regione. Che ha dunque deciso di procedere da sola. In pratica la legge ripercorrerebbe la proposta della commissione Aia rimossa dal ministro Prestigiacomo. «Una legge di buon senso» hanno detto i tecnici pugliesi all’Espresso qualche giorno fa, «che non mette un cappio al collo di Riva ma nello stesso tempo obbliga la proprietà dell’Ilva a investire per ridurre le emissioni». «Con la legge – ha detto ancora Vendola – vogliamo obbligare l‘Ilva a investire su salute e ambiente, vogliamo convincerli a fare ciò che avrebbe dovuto fare già da tanto tempo: l’Ilva ha un debito enorme con la città di Taranto. Un debito che rappresenta una voragine nella quale sono state risucchiate tante esistenze. Ora deve schivare se stessa e la propria pigrizia, lo deve come un atto minimo di risarcimento nei confronti della città, anche per dimostrare che i grandi attori dell’impresa industriale sanno rispondere alle domande di modernità»

(da Carta Puglia)

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