ROMA - La bara di legno chiaro arriva sul sagrato che sono passate da poco le 11. Si fanno tutti intorno al carro funebre ma dietro c'è un'altra macchina, con i finestrini posteriori oscurati da tendine nere. Dentro c'è una donna che grida e piange, "toglietevi di lì, fatemi vedere mio figlio, levatevi da davanti, voglio vedere mio figlio". In quella macchina ci sono i genitori. E' la giornata più difficile, l'ultima e la prima di tante che verranno. E' il giorno dei funerali di Gabriele Sandri, il tifoso della Lazio ucciso domenica in un autogrill sulla A1. Piazza della Balduina, sulla quale si affaccia la chiesa di San Pio X, è colma di gente fin dalle 10.30 del mattino. La funzione comincia alle 12 ma arrivano tutti presto. Gli amici di "Gabbo", i giovani e giovanissimi che lo seguivano nei locali della capitale dove faceva il deejay, i tifosi della Lazio e non solo. Perché di sciarpette ce ne sono tante ma non solo biancocelesti. Anche giallorosse, rossonere. Sono orgoglio e dolore di genere, non solo di squadra. Piange Francesco Totti mentre in chiesa abbraccia la madre e il padre del ragazzo, con lui c'è Luciano Spalletti. La piazza è stipata, sulla scalinata della chiesa è difficile salire, il sagrato è affollato, le navate sono piene. In tutto circa cinquemila persone. A chi temeva incidenti, la risposta più dura: un silenzio di piombo. Su un lato della chiesa, all'esterno della parrocchia, una scritta: "Vendetta per Gabriele", firmato "Balduina". Tutto il quartiere si stringe intorno alla famiglia. A due passi dalla chiesa c'è via Attilio Friggeri, col negozio del padre dove Gabriele lavorava. Una montagna di corone di fiori rende difficile l'accesso alla chiesa. Una corona ha spillati, sul nastro, i bigliettini di tutti i negozi della zona. Don Paolo Tammi, il parroco a cui è affidata l'omelia, ricorda Gabriele dicendo che "quindici anni fa fece qui la prima comunione, ha sempre frequentato la parrocchia". Tante le corone con i colori della Lazio, gli "Ultras Partenopei", gli "Utenti di Antilazio.com", quelle degli amici, Jacopo, Chicco, quella di Antonello Venditti. Il feretro arriva, è un grande applauso. Entra la bara, è presto per la messa, una voce invita a pregare nell'attesa. Fuori piove, ma nessuno si muove.
Le letture, i canti sacri, poi don Paolo che non si perde in chiacchiere. La chiama "una situazione allucinante", dice "che cosa ha fatto per non vivere più, non l'abbiamo ancora capito". Insiste, e ogni passaggio è un applauso. "Si può morire così - si chiede - per giunta dormendo? Qualcuno ci deve dire perché". Il perché e la giustizia sono il cuore dell'omelia. "Se parliamo di perdono - dice don Paolo - dobbiamo parlare di giustizia. Questa morte chiede giustizia. Ce ne sarà una divina, e nessuno potrà dire niente. Ma ci dev'essere anche una giustizia umana che aiuti, per quanto possibile, a placare gli animi. Allora, prima o poi, cercheremo di perdonare". La reprimenda, don Paolo lo sa, non è per una parte sola. Parla del "malessere" diffuso fra i ragazzi, "così poco ascoltato dagli adulti e così poco condiviso", un malessere "che si è trasformato in violenza", ma "le violenze peggiorano la vita e soprattutto procurano sensi di colpa che non potremo rimuovere". Durante la funzione piangono in tanti, si abbracciano. Non vola una mosca. La compostezza mantenuta per oltre due ore si rompe alla fine, quando il feretro esce dalla chiesa. Uno, due, tre lunghissimi applausi, i tifosi schierati da tempo, la scalinata trasformata in curva di uno stadio. Tutti lì ad aspettare Gabriele, le facce scure, giubbotti, cappellini, occhiali da sole sotto la pioggia. Ecco la bara, partono i cori, un boato cupo che risuona nella piazza ammutolita. Gridano "Gabriele è con noi, Gabriele è uno di noi", "Da veri laziali / battiamo le mani", cantano l'inno della squadra, parte una "sciarpata", tutte le sciarpette sollevate in alto con le mani verso il carro funebre. Una voce isolata approfitta di un momento di silenzio per gridare "polizia bastarda". A due passi, vicino alla bara, c'è il prefetto di Roma, Carlo Mosca. Il tentativo viene zittito da una bordata di fischi e dall'Inno di Mameli. Tanti, fra quelli che cantano, fanno il saluto romano. La folla si scioglie, parte un corteo di ultrà che marciano lungo viale delle Medaglie d'Oro. Scandiscono lo slogan "giustizia, giustizia", ma anche "boia chi molla" e "poliziotti bastardi". Il corteo si fa via via più fitto. Destinazione: stadio Olimpico.
Le letture, i canti sacri, poi don Paolo che non si perde in chiacchiere. La chiama "una situazione allucinante", dice "che cosa ha fatto per non vivere più, non l'abbiamo ancora capito". Insiste, e ogni passaggio è un applauso. "Si può morire così - si chiede - per giunta dormendo? Qualcuno ci deve dire perché". Il perché e la giustizia sono il cuore dell'omelia. "Se parliamo di perdono - dice don Paolo - dobbiamo parlare di giustizia. Questa morte chiede giustizia. Ce ne sarà una divina, e nessuno potrà dire niente. Ma ci dev'essere anche una giustizia umana che aiuti, per quanto possibile, a placare gli animi. Allora, prima o poi, cercheremo di perdonare". La reprimenda, don Paolo lo sa, non è per una parte sola. Parla del "malessere" diffuso fra i ragazzi, "così poco ascoltato dagli adulti e così poco condiviso", un malessere "che si è trasformato in violenza", ma "le violenze peggiorano la vita e soprattutto procurano sensi di colpa che non potremo rimuovere". Durante la funzione piangono in tanti, si abbracciano. Non vola una mosca. La compostezza mantenuta per oltre due ore si rompe alla fine, quando il feretro esce dalla chiesa. Uno, due, tre lunghissimi applausi, i tifosi schierati da tempo, la scalinata trasformata in curva di uno stadio. Tutti lì ad aspettare Gabriele, le facce scure, giubbotti, cappellini, occhiali da sole sotto la pioggia. Ecco la bara, partono i cori, un boato cupo che risuona nella piazza ammutolita. Gridano "Gabriele è con noi, Gabriele è uno di noi", "Da veri laziali / battiamo le mani", cantano l'inno della squadra, parte una "sciarpata", tutte le sciarpette sollevate in alto con le mani verso il carro funebre. Una voce isolata approfitta di un momento di silenzio per gridare "polizia bastarda". A due passi, vicino alla bara, c'è il prefetto di Roma, Carlo Mosca. Il tentativo viene zittito da una bordata di fischi e dall'Inno di Mameli. Tanti, fra quelli che cantano, fanno il saluto romano. La folla si scioglie, parte un corteo di ultrà che marciano lungo viale delle Medaglie d'Oro. Scandiscono lo slogan "giustizia, giustizia", ma anche "boia chi molla" e "poliziotti bastardi". Il corteo si fa via via più fitto. Destinazione: stadio Olimpico.
(Fonte Repubblica.it)
3 commenti:
Ho scelto questo articolo di cronaca(ahime') come mio primo articolo nel blog,perche' pernso che sia l'ennesima prova di come la nostra Nazione ormai stia attraversando un periodo sempre piu' buio.Su ogni fronte ormai si sta arrivando ad eccessi ed esagerazioni che non possono far altro che destare pesanti preoccupazioni....
Non si può morire così, non si può!
Non si può vivere più in questa Italia, non è più la nostra cara amata Italia...
Fa male, troppo male la morte di Gabriele..
Ma cosa ci aspettiamo da questo "circus"? Non è mica un caso che in settimana era scomparso un grande che si chiamava Nils Liedholm e questi "signori" non si sono nemmeno degnati di concedergli un minuto di silenzio o il lutto al braccio. Sono solo attaccati ai soldi. Questa è la loro fede!
E noi fessi ad accanirci ancora...
Peppo Rodia
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